Treno...

Treno. Tremo. Lo scatto
delle pupille:

da un punto di fuga allo stremo
della distanza dalle verdure;
da un palo all’altro contro facciate
contro affacciate
minestre da salto e l’odore
degli ottimi risultati
tra i pini marittimi contro gli asciùga-
mani coi bordi strappati….

Ai polsi una fuga
di briciole dalla memoria
che ripetono al tatto
le mie colazioni
a letto.

(un soldo di lacrime,
una pigione mancata
e il nugolo dei denti.
una schiera di anime, una schiena:
il mio ottimo coinquilino.
un mastino fatale. un destino
con un’ombra di bianco:
in piazza Garibaldi, a Pisa, un alce scuro
in prigione e avanzata
una farfalla bionda.
di ospiti una folla
e di delfini
il mare.)

Acronimi

In un vagone del treno a ripetere i nomi
dei paesi in liguria, partendo
magari dal terzo, non come le alpi
o gli ordini di stelle o i
decimali del piggreco.
Oh Be A Fine Girl, Kiss Me.
forse dovrei
inventare un acronimo
per i miei
innumeri fidanzati.

-Euridice-

Ti assicuro che una ripida salita non fa meno
dolere i piedi anche se esce dall’inferno
(e me la sarei risparmiata volentieri).
Non che la pelle fosse fresca, mi aderiva
secca alle costole da vederle dietro.
E non pretendo che i vermi non ci fossero, n’avevo
nell’utero riarso più che cagna feti.
Ma che bisogno c’era di guardarmi proprio allora?
Non te ne faccio più una colpa, ormai
è passato tanto di quel tempo…
ma per la prossima che incontri, sventurata,
(dal momento che sei talmente bravo)
ti prego, quando smetti di suonare
almeno avvertili i serpenti velenosi….no?

-Orfeo-

Mia povera ragazza, ma che palle
fare su e giù per quella strada scoscesa,
senza che fosse colpa tua tanto l’andare
quanto salire illesa (o quasi) e uscirne.
Ma dal momento che non ti vidi più le labbra
tanto eri asciutta, mi venne di pensare
quante altre di ninfe avrei felici
rese e soddisfatte con il mio, o Euridice,
orfico ed impunito arnese.

Per me, che sono votato allo stupore...(un testamento)

Per me, che sono votato allo stupore,
un semplice inequivocabile bouquet
di sagge motivazioni.
Alla mia ferina concomitanza
un serraglio modesto e resistente
così che possa fagocitare in libertà
i vari commensali. E poi rinchiudersi.
A chi mi ha presentato: una rivista
di frode e un ascesso in miniatura
(per godere miglior compagnia).
A chi mi vede ogni giorno passare
finalmente un po’ di simmetria.

Mentre qualcuno nell’attesa...

Mentre qualcuno nell’attesa provava a giocare,
si preparava inconsapevolmente il Giorno del Giudizio:

si appianava un conflitto d’interessi col vizio usuale
di distogliere l’attenzione da sé stessi e discuterne en plein air.

Non molto a lungo se ne sentiranno i postumi, causa l’assenza
di posterità, e il verosimile presentimento materiale

della fine terrestre-collettiva nell’autocombustione.
La stessa vecchia Questione, apparentemente risolutiva,

si accontenterà di un terzo posto ex-aequo per entrambe
le fazioni (con convivenza innocua per forza d’abitudine):

da sempre è il Rigor Mortis (il rigore
dei morti), la sola

attitudine morale.

Io gli occhi li apro sempre...

Io gli occhi li apro sempre.
Non come i morti –ostinati
e timidi con quel loro costume
perverso di marcire-Ma io ho perso
il vizio di sancire scadenze
e mi muovo, benché orizzontale
e un po’…(come vergognandosene) offensivo!

F.K.

L’utilità degli uomini messa ogni tanto in dubbio
persino dell’uomo più accessibile
e più duttile, sia pure solo col sentimento...
Appare d’altro canto o sembra che appaia
a ciascuno nella completa e sempre
reperibile comunione dello sviluppo umano singolo e totale.
Persino nei più reconditi
sentimenti
del singolo e amen.

Così nere controluce...

Così nere controluce finestre
della mia stanza, così rumore
ogni fruscio di voce quando resta
del tempo in abbondanza per pensarsi addosso.
Non mi sono mosso dall’ultima pisciata.
Sono quasi le Sette -tutto torna- si ammette
Un possibile riflusso della bile. Si smette sul nascere
un’erezione inopportuna e sul finire si tenta
l’approccio col prepuzio. Puzzo
di pensionato nel cavallo dei calzoni-.
Al di là delle più rosee previsioni è già mattina.
Non miro più allo spreco sistematico dei giorni,
si ripetono strane, stranite, le fornicazioni
dei vivi. E basta con le solite piume.
Anche se facessi un albero di metrica...
o una bisaccia di casi declinabili si assume
applicarsi la regola nefasta
del ritorno alla casella precedente
senza riscuotere ventiseimilanovecentolire...
vàcuati da te stesso visto che sei
tiranno del tuo dormire sugli allora!
dammi però servigio delle tue mani
nude, dammi la categoria
del ritardo dei treni, se non puoi altro dammi
ancora alberi-alberi gemelli e in croce!

non è abbastanza il mondo dettagliato,
per i miei gusti

Rane

Non posso piangere adesso:
ho le rane sul cuore.
Non già perché dimentichi il futuro
-anteriore-
della mia inaudita previsione,
ma perché sono persuaso dell’estate…
Prestate, Vi prego, attenzione, signore,
ai miei anfibi
che vivono metamorfosi e calure
troppo a un dipresso dall’arteria aorta

o troppo spesso.

Niente punizioni per favore...

Niente punizioni per favore
mentre spolvero i lobi occipitali:
sento crescere una peluria nel cervello.
È quello, forse, che mi dà quell’ombra
penitente ma non è per troppo
pensare che ho creduto (ho avuto!)
ho avuto la febbre tanto alta.
Quando vi ho presi in giro spero
di non essere stato inopportuno
(se nessuno risponde giudicherò
chiusa la questione) ho ragione
di portare una giustificazione:
per lo meno io avevo il mal di testa.
Resta, comunque, da decidere
il modo in cui dovrò espiare;
o abbandonarmi al Braccio Secolare.

Rondóni come note...

Rondóni come note
sui fili della luce.
Rotoli di vernice sulle strade
interrotte quasi saltellando e simmetriche
come la schiena dell’alligatore.
Il meglio è lo specchio
per il caldo sciolto.

Sputo sulle dinamiche d’amore, sputo sulla
vergine delle metafore!
faccio feticcio di coprosassolini: ce n’è voluta di acqua
che passasse sotto i ponti e
lacrimessangue!
prendo tuttipossibilisvantaggi.

fuori un bimbo che
gioca alla guerra e io
che arringo da troppo vicino.

Ragionevolmente mi persuado...

Ragionevolmente mi persuado
della ferita esposta delle cose,
ma solo quando passa l’epitelio.
Io so che sono molto sfortunato,
tolgo l’appendicite tutti i giorni,
l’asporto espertamente dalle pieghe
del peritoneo, dal disagio
dei miei organi interni
(è solo un aforisma dal duodeno
in avanti ma io mi alleno
e asserisco i punti di sutura
- mi invischio di materia fecale-)
perché so che quello che conta
è l’apertura mentale;
e che si può morire facilmente:
di incesto all’intestino
di rivolta del sangue
di corse nello stomaco.
Mi insuperbisco nell’emoglobina
e cado –vado -di rado
mi espongo:
c’è troppo traffico in corsia.
In fondo si finisce sempre lì (con l’ora
del decesso che non è ancora pervenuta.
Del resto...)

Noi aspettavamo il buio...

Noi aspettavamo il buio per riderci in faccia:
di braccia neanche le nostre per salvaguardare

le tracce sbiadite della distanza, come stupite
canaglie noi si imparava reciprocamente a guardarci le spalle

(più spesso quelle di qualche intruso, nel caso improvviso
spuntassero piume) e ci si imbrattava i calzini di polvere.

Ora a guardarci da dietro in giro è rimasta la soglia
dell’evidenza e a noi –che eravamo quasi democratici

solo l’equivoco dello stupore a ricordarci con quante cure
si tenesse nascosta la sola certezza

di un’ineguale disattenzione e di un’identica scorrettezza.

Dove riposa la mia squisita indifferenza?

Dove riposa la mia squisita indifferenza?
Dove la mia ferita
di rappresentanza,
cui maggiormente si addice
della sutura una breve intermittenza
di coraggio, un’accurata vacuità di luce?
–di voce- si dice
che nasconda essa stessa una viltà
ulteriore, come ultraterrena,
“quasi una tenerezza delle ossa,
un’incostanza dimessa, a malapena
un’occasione di pudore…”
(o di prurito che è poi l’inferenza
della contraddizione,
del tentativo di contrazione
di membrane inadatte al volo-
Rispetto a un bolo di piume qualunque)-

Cammino e non lascio ombra...

Cammino e non lascio ombra o mi piacerebbe:
di una vita eventuale, egotapsolvo e festa

finita di questa, da risolvere, iconizzante e impropria,
dall’inizio alla fine.

“Mi dolgo costantemente, tolgo
tormento da ogni occasione”

(da ogni occasione o cado o distolgo
il viso, abusivamente).

E sento il peso sull’avambraccio dell’amputazione
di un falcone che non ritorna

(o aggiorna, dall’ultimo piano,
la data della partenza).

Nell’altra mano dipano un numero
di Avogadro di continenza,

che fa per il peso atomico appena una mole
ridicola di lavoro o magari solo

energia potenziale. Rischio di perdere stabilmente
il colpo- ma il corpo (l’amata salma),

benché sensibile, preferisco
passarlo a ritirare con calma-

Cammino e non lascio orma e mi sembrerebbe
plausibile, se non fosse l’odore

di muffa a far rinvenire gli ospiti…
(costi quello che costi bisognerà pure

invitare un cretino qualunque
a spiegarci questo mistero del principio di Heisenberg!).

Ma è uno strano punto di vista.
E il calcolo mi ricatta (ritratta),

si tratta certo di una semplice svista
-un’Epsilon scelta piccola a piacere…-

Il problema più grosso è che continuo ad andare
e scarto, verso il rosso.

La tua Perdita inopinabile mi stacca...

La tua Perdita inopinabile mi stacca
una costola a sera, e sono mesi…

alzo la mira per partito preso
ma ormai do i primi segni di pazienza,

e ti ho dimenticato già per mezzo viso.
Modificherai per sempre i miei parametri di gusto

del resto non potrò dirmi disabituato
alla tua assenza se non ci sei mai stato.

Tu che hai cambiato l’ordine del cosmo
e ai miei piccoli giochi,

io
che ti sono dato.

Agli eventi io partecipo sempre...

Agli eventi io partecipo sempre in forma
privata.

Per eccesso di voce, spesso,
e maturo gratificazioni e contributi in scatola

chiusa; riconduco il resto a nulla ma traduco
la confidenza visivamente in adulterio

di fiducia. Che consistenza hanno
le mie considerazioni, benché avallate

come istanza d’arredo e notoriamente affette
da sterilissimo strabismo di vedute?

Non c’è mansuetudine o misura che regga
il confronto con la mia placida peristalsi,

per la mia digestione forbita non c’è paragone
che tenga, o salotto abbastanza glamour.

A costo di far impallidire ogni creatura
(con buona pace del dottor Frankenstein)

smaschero il trucco ogni microsecondo, tasto
il terreno verso la mia caccia spaventosa e mi nascondo,

poi corro subito a darmi in pasto agli avvoltoi.

Prologo

C’è fra le ciglia dello streptococco
in primo piano, sulla sinistra, uno strano
sommovimento, come di lupanare,
ecco quello sono io se fossi
unicellulare; ma siccome sono grande
almeno il doppio
mi prendo la briga di scriverne.